martes, 31 de marzo de 2015

Universalia nº 39 – Los Estudios Generales, un espacio de oportunidad académica

Las palabras de la Profa. Isabel Rodríguez dan inicio a la Edición n° 39 de la Revista Universalia, publicación periódica realizada por el Decanato de Estudios Generales de la Universidad Simón Bolívar, en donde se pueden encontrar nuevas muestras de la profunda reflexión humanística que los Estudios Generales son capaces de inducir en nosotros los estudiantes.

Al inicio se encuentran las intervenciones con las que mis compañeros, Luis Contreras y Ricardo Santos, y yo dimos el primer paso hacia lo que podría ser una experiencia estudiantil dentro de la Red Internacional De Estudios Generales, aprovechando la oportunidad que se nos brindó de participar en la apertura del VI Simposio de la RIDEG, celebrado en noviembre de 2014 en nuestra USB.

He de decir que, una vez más, he sido acompañado por voces críticas capaces de mirar desde otra perspectiva nuestra realidad, y que en esta ocasión además de haber disfrutado de su compañía durante el evento, hemos podido intercambiar nuestra propia forma de entender nuestro entorno y nuestro poder de originar los cambios que queremos, con todos los invitados internacionales, de quienes nos llevamos el mejor de los recuerdos.

La revista cuenta también con obras de arte urbano, realizadas por Charles Levalet en las calles parisinas.

Está disponible aquí


sábado, 3 de enero de 2015

La migrazione: più al di lá della questione geografica

Nel mese di ottobre 2014, ho pubblicato la versione originale (in spagnolo) di questo lavoro. Ma, visto che la migrazione é un fenomeno che non può essere limitato né a una sola regione né a una sola lingua, ho voluto fare la traduzione in italiano. Anche perchè sono italo-venezuelano, e mi sembrava giusto poter condividere questo con i miei cari in Italia.

É un lavoro che ho fatto sul migrante come personaggio centrale del fenomeno migratorio, con riferenze artistiche (letterarie, cinematografiche), e posmoderne, nel corso "Para leer la postmodernidad", con la Prof. Gina Saraceni (USB).

I – Tanto per cominciare

La societá occidentale, con la filosofía del modernismo, si abituó ad avere una visione teleologica della vita, ogni sentiero porta alla pienezza come unica finalitá. Quel livello di soddisfazione, tanto nell’ambito esterno quanto nell’interno dell’essere umano, solo si puó raggiungere attraverso uno dei grandi argomenti, che secondo Jean-François Lyotard in “Il postmodernismo (spiegato ai bambini)” (1986) sono: il cristiano, il marxista, l’illuminista ed il capitalista. In modo conforme a ciascuna di loro, é mediante la buona fede, il comune benessere, la supremazia dell’uso della ragione o del lavoro, che si puó arrivare ad uno stato incomparabile di felicitá e di giubilo con se stesso.  Eppure, lo stesso Lyotard, siccome il filosofo argentino José Feinmann1 quando utilizzano questo stato come riferimento, fanno allusione al fatto che questo punto di vista sulla vita, condotta verso un obiettivo finale,  é nato nelle societá più sviluppate, nelle comunitá che possiedono la maggioranza delle conoscenze e quindi con un grande potere sulle masse, per quanto non risponde alla dinamica reale delle relazioni umane e causa l’occultamento delle particolaritá, le carenze, le differenze e le fratture che si manifestano negli spazi modernisti. Tutto quello che non si poteva inquadrare negli schemi stabiliti dal potere e i suoi meccanismi di controllo era tenuto da parte, tanto dalle rappresentazioni artistiche quanto dagli studi realizzati dalle diverse aree della conoscenza.
In difesa di quella alteritá, di quell’altra prospettiva, nacque il postmodernismo che sorge dalla necessitá di prendere in considerazione e di risaltare l’esistenza di tutto quello che é diverso in contrapposizione all’esclusione esistente. Per quello, la tendenza postmodernista propone la molteplicitá di storie contro quell’argomento unico o grande argomento, ed in alcuni casi, propone anche la decostruzione del testo, perfino degli schemi del pensiero, tale come oggi sono conosciuti. Feinmann si riferisce al termine caleidoscopismo ed illustra questa maniera di leggere la storia da angoli diversi citando Gianni Vattimo, filosofo italiano che afferma che “la storia é come il dialetto”, in allusione all’esistenza di molti dialetti in Italia, fatto dal quale viene fuori la possibilitá di guardare, e soprattutto di rappresentare, la realtá stessa e gli stessi fatti della storia da diverse forme, da diversi punti di vista. Non esiste piú un’unica maniera di raccontare la storia, ora c’è una pluralitá di culture abbastanza notoria, un collage formato da tutte quelle voci che sono ugualmente capaci di raccontarla.
Allora, diventa naturale che in mezzo all’esaltazione delle minoranze che storicamente non sono state riconosciute, si cominci a mettere in evidenza la vita di tutti coloro che lasciano una loro societá stabilita per incorporarsi ad un’altra dove stranamente riuscirano ad avere un vero senso di appartenenza: i migranti. Sia come conseguenza della colonizzazione europea, sia per la fortissima crisi economica provocata dalle due Guerre Mondiali, o perfino per le note discordie tra i paesi dello stesso continente, é un fatto che  America –e soprattutto l’America Latina- puó essere considerata, per eccellenza, il palcoscenico favorito degli influssi migratori in vari periodi dell’era moderna e contemporanea, ragione per cui é interessante approfondire in situ su questo argomento. 
In quest’epoca, in cui i mezzi di comunicazione e trasporto fanno della migrazione un fenomeno comune e quotidiano, ha molto senso riflettere sul processo di abbandonare la propria terra, sulle fratture nella parte piú profonda dell’essere umano, sull’adattazione e la nostalgia che si presentano negli individui in continuo movimento. Risulta particolarmente interessante introdursi nel tessuto sociale, approfondire nell’irreversibilità, di questi processi e le loro conseguenze che si manifestano in coloro che li soffrono.


II – L’illusione dello sconosciuto

"La realtá e la miseria mi opprimono, eppure ancora sogno”

- Émile Zola


Che situazioni, che fatti, possono vincere il legame di un essere umano col suo paese di nascita? Possono essere cosí forti le avversitá che la propia terra presenta che si acquista la capacitá di abbandonare tutto quanto si conosce per avventurarsi nella ricerca di un futuro migliore? Ovviando i casi in cui lo spostamento é conseguenza del Desiderio di espandere i propri limiti, siano questi intellettuali (caso di professori, studenti e professionisti che partecipano in programmi di scambio con altri paesi), ben siano politiche (desiderio dei grandi imperatori e conquistatori della storia), è una realtà innegabile che la migrazione appare di solito come l’unica scelta possibile quando la vita é troppo difficile nel luogo di nascita ed esiste nel pensiero l’idea, fissa o come semplice ipotesi, che in un altro luogo si potrebbe vivere meglio.
Alcune volte le durissime limitazioni politiche, proprie di regimi autoritari ed estremisti, sono quelle che, ignorando le proteste e manifestazioni pacifiche di resistenza civile, causano la partenza dei liberii diversi- finché arrivano in un posto dove possono vivere ed esprimersi completamente. La corruzione, lo scialo delle autoritá e la loro complicità con i criminali organizzati, o la noncuranza dei cittadini comuni possono generare sensazione di abbandono, di solitudine, nei membri di una determinata società, motivo per il quale si sentono estranei al loro intorno e decidono di andarsene. Altre volte lo sradicamento obbedisce alle necessità più basiche dell’essere umano: soddisfare della propria fame e quella della famiglia, sopravvivere ed abitare in un posto con le minime condizioni igieniche, che potrebbero essere introvabili in un paese vittima di disastri naturali, di periodi di grande crisi economica o di conflitti armati importanti. Quello che é certo é che elencare le cause che portano una persona ad allontanarsi dal proprio paese meriterebbe un trattamento particolare, più dettagliato, complesso e quindi, più sviluppato. Eppure si puó distinguere un elemento comune nello spirito, nel pensiero, di ogni emigrante e non é altro che l’idea del meglio in un’altra parte, del lavoro per tutti, i buoni cibi, il denaro, la libertà e l’indipendenza sono tutti riuniti al di lá, fuori dalle proprie frontiere e mai a portata di mano, per quanto, la sola idea di potersi incontrare di fronte a tutte queste buone cose, giustifica il fatto di abbandonare tutto quanto é conosciuto, parte della propria vita, per partire.
Il problema viene quando tanto comune é il fenomeno migratorio quanto vaga e sbagliata la concezione del luogo di destino, poiché si origina nell’individuo una aspettativa esagerata, quel posto nuovo sará il posto dove potrá vivere pienamente, anche se l’unico indizio per pensarla così é la testimonianza di un terzo che é tornato dopo aver raggiunto i suoi obiettivi. Spesso i racconti sfavorevoli sono sconosciuti, disprezzati ed omessi, perchè questi non nutrono la speranza che rappresenta l’illusione dell’altro luogo, non contribuiscono con il grave bisogno che ogni marginato ha di credere in un mondo migliore, malgrado non lo conosca.
Quando il protagonista di Paso del Norte (1953), di Juan Rulfo, rivela a suo padre i motivi che lo inducono a cercare il Nord:
Pos a ganar dinero. Ya ve usté, el Carmelo volvió rico, trajo hasta un gramófono y cobra la música a cinco centavos. De a parejo, desde un danzón hasta la Anderson esa que canta canciones tristes; de a todo, por igual, y gana su buen dinerito y hasta hacen cola pa oír. Así que usté ve; no hay más que ir y volver. Por eso me voy.(A)


(A)    N.d.T: Usando un linguaggio popolare, il personaggio dice che se ne va per guadagnare più denaro. Parla dell’esperienza di Carmelo che, rientrato, ha portato con sé un gramofono con il quale ora puó avere piú denaro.

Un altro esempio si trova nel documentario “Los Invisibles2, dove si domanda a una famiglia dell’America centrale come credono loro che siano gli Stati Uniti e rispondono che la loro immagine di questo paese é quella di una fotografía del momento quando la bambina della casa é andata in vacanze a Seaworld, un parco acquatico in cui si rappresentano spettacoli con i delfini e le balene, e quella immagine del “bello” e del “divertente” molte volte basta perché la decisione di trasferirsi sia presa, anche se coinvolge delle rotture e fratture non solo negli aspetti fondamentali della propria identitá ma nella maniera di capire e vivere la vita. “L’immaginazione é diventata un fatto sociale e collettivo” 3, e non prevale piú la realtá sul luogo di destino ma quella logica quotidiana, basata su tutte le speranze e racconti colloquiali dei concittadini anche loro migranti. Come dice il complesso Calle 13 nella sua canzone “Pa’l Norte”, per un emigrante, “el camino es lo de menos, lo importante es llegarlo(B).

(B)    N.d.T: L’importante non é la strada che si percorre, ma il fatto di arrivare.


III – Fisura, strappamento, frammentazione

“(Andarsene) é un sogno di terrore che converte le nostre vite in incubi, é una delle affermazioni degli intervistati nel documentario “Los Invisibles”, in cui si evidenzia l’altra faccia della speranza: quella delle dure e disumane conseguenze. Prima della partenza, l’individuo ha sentimenti a confronto dato che l’abbandono della propria casa è tanto rilevante dal punto di vista emotivo quanto la speranza che incarna il luogo di destino, peró, grazie all’innocenza causata dalla disinformazione summenzionata, è che questa illusione riesce a sovrapporsi. Il migrante parte “senza bussola, senza tempo, senza agenda, senza trasporto” e, frequentemente, senza documenti che lo identifichino e gli diano lo status giuridico di cittadino, o semplicemente quello di essere umano. È allora quando il processo di sradicamento della sua umanitá, attraverso la distruzione o la severa alterazione degli elementi che la costituiscono, cioé: l’identità, la cultura e la lingua.
Nella fase dello spostamento per se, in quanto prima fase del proceso migratorio, è che si modifica l’identità dato che, come si puó vedere nel documentario sopraccittato ed in tante altre rappresentazioni artistiche di ogni livello come la canzone del gruppo Calle 13 o il racconto “Paso del Norte”, il migrante illegale diventa un intruso senza passaporto, un non identificato, un diverso che si presume delinquente, e quindi si trova sottomesso alla violenza non solo dei meccanismi di controllo del paese di destino, ma delle bande criminali organizzate che si approfittano di questa condizione e identificano nel migrante la loro vittima prediletta. È perseguitato, torturato, maltrattato, e perfino assassinato senza che rimanga di lui alcuna traccia, visto che non existe un elenco ufficiale dove sia iscritto dopo aver perduto qualsiasi soggezione di una determinata nazione per non avere dei documenti che lo identifichino come cittadino, dunque: è invisibile mentre vive, ed è uno scomparso, un mancante, quando muore. Nel migliore dei casi, riesce a mettersi in salvo da questi comportamenti ostili in cambio di perdere completamente la sua umanitá e servirsi di mezzi assolutamente disumani, animaleschi – come muoversi di nascosto sotto terra come gli scoiattoli- per andare all’altra parte della frontiera, senza sapere nemmeno cosa l’aspetta. Un esempio di questo si trova nel racconto “Los gallinazos sin plumas” (1995) di Julio Ramón Ribeyro, nel quale due bambini famelici che hanno acquisito atteggiamenti animaleschi dovuti alle condizioni in cui sono stati cresciuti, fuggono feriti e malati alla grande mascella divoratrice che è la città nel giorno, sconosciuta da loro e dove loro non esistono.     
Attraversato il muro, sia fisico o simbolico, si produce lo scontro culturale tra chi ha perduto la sua condizione di cittadino e la nuova società con le sue tradizioni e i suoi propri mecanismi di controllo, che naturalmente sará riluttante ad accettarlo appena arrivato. L’immigrante, ancora legato alla cultura della sua terra natale, é in svantaggio rispetto ai suoi vicini dato che, non avendo modo di esercitare i suoi costumi e tentando ancora di adattarsi al nuovo luogo, non puó essere considerato membro di pieno diritto nella communitá in cui ora  si trova. Inizialmente viene considerato manodopera –a buon mercato- e assunto per fare i lavori più pesanti e peggio retribuiti perchè non ha nessuna qualificazione legale e la sua assenza d’identitá gli impedisce richiedere i suoi diritti che d’altra forma sarebbero giusti. Si produce l’incontro con altri inmigrati e si stabiliscono piccoli circoli dove si simulano alcuni aspetti della cultura perduta, motivo per il quale non si riesce ad eliminare mai la differenza che esiste rispetto alla nuova società. Il migrante funziona come un pezzo insignificante dentro il gran mecanismo che rappresenta la metropoli di destino, é sostituibile e, come il resto di coloro che sono nelle sue stesse condizioni, é irrilevante tutto quello che riguarda la sua identità.
Mentre il gran macchinario continui a funzionare, il gruppo inmigrante solo costituisce una massa indeterminata e dedicata interamente al lavoro, che viene monitorata (“quella gente mai la smette di guardarci nel lavoro”) e sostituita senza alcun riparo (“hanno messo un altro nel mio posto per non fermare il lavoro”), entrambe le frasi tratte da “La noche que volvimos a ser gente” (1970) di José Luis González, dove si esprime l’idea che l’unica forma in cui gli inmigrati possono recuperare la loro umanità è attraverso il fallimento di qualcuno dei meccanismi della società dove sono iscritti; in quel caso, è l’assenza di energia elettrica quello che occasiona la riunione di tutti i portoricani sui tetti degli edifici, in modo che questi possono ricondividere la loro música, le loro bibite, il fatto di essere insieme coi loro paesani e possono apprezzare insieme una cosa tanto semplice come guardare le stelle che brillano nel cielo, recuperando cosí la loro condizione umana che avevano già perduto, o che li era stata tolta.  
Uno dei sintomi di questo smembramento della cultura e l’identità è la modificazione della lingua. L’immigrante, forzosamente, deve imparare ad esprimersi nei termini che utilizza la società dove si trova, perciò risulta naturale che nascano delle lingue ibride come lo spanglish, l’itañol, fra tante altre in cui coesistono i modi grammaticali e le parole della lingua materna con gli elementi della nuova lingua. Il migrante modifica il suo lessico e con questo fatto la sua forma di descrivere e di scrivere il mondo si trasforma completamente, passa dall’essere una mescolanza di culture che, col tempo, sarà impossibile dividere nei suoi componenti originali.


IV – Il ritorno impossibile e i segni indelebili

"È inutile rinvenire su ciò che si è stato e non si è più "

- Frédéric Chopin



La nostalgia è un sentimento inevitabile quando si è lontano dalla propria patria, al di sopra di tutte le simulazioni che possano ricrearsi nei diversi luoghi di transito dove l’immigrante si trovi. Il fatto di sapersi circondato da gente che ha condiviso le stesse esperienze, che è stata cresciuta nelle stesse strade e che ha mangiato gli stessi cibi, il fatto di essere a proprio agio coi costumi ed i luoghi comuni, è necessario per colui che si è allontanato. Il problema è che tutti quegli elementi ancorati allo spirito del migrante si modificano con il tempo e lo spazio ricordato non corresponde con lo spazio esistente nel momento di un eventuale ritorno, cioè, la città in cui si è nati non rimane inalterata col passare degli anni, ma si trasforma continuamente con la costruzione di nuovi edifici e percorsi, con l’arrivo di estranei che impostano simulazioni delle loro proprie culture dappertutto, e con le impronte degli episodi alti e bassi sia in politica che in economia, che senza dubbio lasciano profondi segni in ogni popolo.
Allora, fino che punto è possibile ritornare al paese d’origine una volta che si è andati via? L’evoluzione inesorabile delle società fa che il desiderio di tornare alla terra perduta, la necessità di sanare la condizione di orfano caratteristica dei migranti, sia irraggiungibile. Nel film Nuovo Cinema Paradiso (1988), regia di Giuseppe Tornatore, si racconta la storia di Totò, che se n’è andato da trent’anni da Giancaldo (Sicilia), e riceve via telefonica la triste notizia della morte di Alfredo, chi era stato il suo mentore. Lungo questo film, il protagonista, dopo aver finito la funesta telefonata, comincia a percorrere il paese che conserva nella sua memoria, con gli aneddoti che hanno scandito la sua vita e il suo legame con Alfredo, per poi decidere di ritornare ed assistere al funerale, trovandosi di fronte a un Giancaldo che è drasticamente cambiato rispetto a quello dei suoi ricordi, in cui gli antichi luoghi di divertimento, specialmente il Cinema Paradiso, sono pronti ad essere demoliti per fare spazio a nuove strutture che soddisfaranno le necessità della popolazione che abita ora nel paese. Quando si produce il ritorno, la nostalgia svanisce e diventa disincanto.
Contemporaneamente alla delusione dovuta alla mutazione del paesaggio, dello scenario del proprio passato, si acquisisce la coscienza di aver perduto l’identità e almeno una parte dei legami affettivi che uniscono l’immigrante alla sua terra natale. Per questo motivo, il protagonista di “Paso del Norte”, quando torna a casa pieno di tristezza, afferma che l’hanno ucciso, perchè tutte l’esperienze che ha sofferto nella strada percorsa hanno lacerato gli elementi costitutivi della sua personalità. Ora non ha un posto a cui ritornare, la sua casa è stata venduta, sua moglie l’ha abbandonato, e sembra essere destinato a vivere in forma erratica, senza la possibilità di recuperare –nel senso più rigoroso che ha la parola- tutto quel che ha avuto prima di andarsene. Da mettere in evidenza che questa tensione inevitabile non è presente unicamente nell’individuo che migra, ma va anche trasmessa a tutta la discendenza. In un modo o nell’altro, chi discende dal migrante sempre dovrà far fronte a tutti gli elementi della memoria, della cultura e la nostalgia dei genitori, e a le differenze tra quella e la cultura in cui si è nato, motivo per il quale è anche lui un migrante, senza aver vissuto nella propria carne gli effetti dello sradicamento. È comune, allora, che ci siano in lui segni della lingua dei genitori, che conosca le manifestazioni culturali e perfino che senta di avere la stessa necessità di simularle nel luogo in cui vive, anche se, come è stato già detto, queste simulazioni non sono mai completamente efficaci.
Quando si assume l’impossibilità del ritorno e si impara a vivere con i segni lasciati dal processo migratorio, si rinnova la nostalgia in tutti coloro che sono più sensibili e quello che si rimpiange diventa l’obiettivo prediletto della dialettica dell’individuo e delle manifestazioni artistiche che è capace di realizzare, un esempio di questo si può apprezzare quando il protagonista di Garabatos (1970), di Pedro Juan Soto, vuole ricreare tutte le scene della sua vita felice in un suo dipinto, che avrebbe “una malinconica somiglianza con quelle fotografie fatte nelle feste patronali (…) che erano parte dell’album  di ricordi della famiglia”, dedicato a sua moglie che, già consunta dal processo migratorio e di rottura, lo riceve come un’offesa e lo distrugge.
Per concludere, si può affermare che le migrazioni nell’attuale societá dell’informazione sono un evento quotidiano inevitabile e ineluttabile, promosso ad ogni livello dalla esistenza dei mezzi moderni di comunicazione, ma inoltre sono un fenomeno completamente irreversibile in quanto causa profonde fratture negli elementi costitutivi della vita di ogni essere umano che sono: la cultura, la lingua e la propria identità, non solo nell’individuo che migra ma in tutta la sua discendenza, poichè le rimanenze di quella memoria perduta vengono trasmesse alle diverse generazioni e integrate a nuovi sistemi di riferimento e meccanismi di controllo progettati per escludere e segnalare continuamente coloro che sono diversi. La differenza rispetto ad altre epoche radica nella tendenza posmodernista in cui questa alterità è capita come un arricchimento, come un fatto che si deve distaccare e deve essere presso in considerazione positivamente, non come un tabù sociale. Oggi gli invisibili sono meno, perché ci sono testimonianze delle loro vicende e le rappresentazioni artistiche, in ogni livello, li segnalano e gli danno una potente voce con la quale possono gridare al mondo che ci sono anche loro.

BIBLIOGRAFÍA


(1) Video Los Posmodernos (Filosofía Aquí y Ahora)” condotto dal filosofo argentino José Pablo Feinmann, disponibile su Youtube.

(2) Documentario Los Invisibles, 
Fatto da Amnistía Internacional, Gael García e MarSilver, pubblicato in 2010 su Youtube.


APPADURAI, A.; La Aldea Global


RIBEYRO, J., Los gallinazos sinplumas, 1955.  

RULFO, J., Paso del Norte, 1953. 

SOTO, P.; “Garabatos”, 1970. 

Film: Cinema Paradiso,  regia di Giuseppe Tornatore,1988, Italia.

Canzone: Pa’l Norte, Calle 13, 2007, Puerto Rico.